Con oggi si apre ufficialmente la categoria Jukebox, nella quale esaminerò alcune canzoni svelandone alcune particolarità e/o retroscena. Per il primo appuntamento la scelta è ricaduta su “Hurt”, storico pezzo dei Nine Inch Nails di Trent Reznor del 1994 e reinterpretato da Johnny Cash nel 2002.

Hurt è il brano conclusivo di The Downward Spiral, terzo album in studio dei Nine Inch Nails che ha come concept album l’alienazione e l’autodistruzione di un uomo condannato a vivere in un sistema che non accetta. Hurt ha come tema portante l’autolesionismo, infatti la prima strofa della canzone dice

I hurt myself today To see if I still feel I focus on the pain The only thing that’s real

Oggi mi faccio male Per capire se riesco ancora a sentire qualcosa Mi concentro sul dolore L’unica cosa vera

L’unica cosa vera perché, secondo il suo punto di vista, è l’unico segnale per capire se si è ancora vivi. Un dolore che può essere inferto da ferite, certo, ma anche in maniera più subdola, come spiegano i versi successivi.

The needle tears a hole The old familiar string Try to kill it all away But I remember everything

L’ago scava un buco, la solita vecchia puntura, cerco di mandar via tutto quanto ma ricordo ogni cosa.

L’ago in questione è quello di una siringa usata per iniettarsi della droga, modo attraverso il quale protagonista spera di cadere in una alienazione tale da dimenticarsi di tutti e di tutto. Il risultato, però, non è quello sperato: non solo non sente più dolore ma ricorda ogni singola cosa. Vanificando, così, il suo tentativo.

Fino a qui, confrontando le versioni di Reznor e Cash, non vi sono grandi differenze in quanto il cantato è piuttosto sofferto ma intimo, sussurrato, lasciando intuire quanto il dolore possa dilaniare una persona nel profondo. Dal ritornello, tuttavia, le due versioni prendono strade totalmente diverse.

What have I become My sweetest friend Everyone I know Goes away in the end And you could have it all My empire of dirt I will let you down I will make you hurt

Cosa sono diventato Mio carissimo amico Chiunque conosca alla fine, fugge da me Potresti avere tutto il mio impero rivestito di fango Ti abbandonerò Ti farò del male.

Nella versione dei Nine Inch Nails, queste frasi sono urlate, in preda alla disperazione. E’ la voce di un’anima perduta, che sta andando sempre più a fondo e sta, in qualche modo, avvertendo la persona a lui cara dicendole che la abbandonerà per precipitare in una spirale fatta di autodistruzione. Johnny Cash, al contrario, canta questi versi sempre con voce piuttosto sommessa, col tipico mood di una persona che sta giungendo alla fine dei suoi giorni e che, quindi, deve prepararsi all’idea di lasciare su questa terra i suoi affetti. Non disperazione, ma la malinconia amara di chi sa quale sarà la sua fine.

Hurt è la dimostrazione che, cambiando una sola parola, può cambiare tutto il senso di una canzone. Il verso incriminato è il primo della seconda strofa, la cui versione Reznoriana è I wear this crown of shit (Indosso questa corona di merda), per rispecchiare tutto l’odio che sta provando verso se stesso. Johnny Cash, invece, la trasforma in I wear this crown of thorns (indosso questa corona di spine), dove il riferimento a Gesù Cristo che muore in croce è lampante. Con una sola parola cambiata in un solo verso, l’iniziale messaggio di odio e autodistruzione diventa consapevolezza dell’ineluttabilità di una vita che sta per finire.

Se è vero che una cover è ben fatta solo se chi la reinterpreta sa metterci qualcosa di suo, Johnny Cash è riuscito a dare una nuova luce a una canzone che aveva, come caratteristica principale, un messaggio negativo.

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