Ci sono elementi che, abbinati, sono assolutamente perfetti (radicchio e speck, coperta di pile e libri, divano e Netflix) e altri che insieme fanno letteralmente a pugni: maglietta a righe e pantaloni a quadri, banana con peperoni, musica con claustrofobia. E io, appassionata di musica, sono anche tremendamente claustrofobica. Ma come può una persona che vive e scrive di musica avere la fobia dei concerti? Ebbene è possibile. E non solo è assurdo ma fa anche terribilmente schifo. La musica mi accompagna da tutta la vita: è stata l’ancora alla quale aggrapparmi miliardi di volte, soprattutto nei giorni più bui, è stata la mia consigliera, la mia compagna, la mia amante e tutto ciò che di bello può essere. Non sto parlando della banale passione delle ragazzine per le band del momento - anche perché i miei gusti sono sempre stati un po’ diversi - ma della raison d’être che mi ha salvata da me stessa in più di un’occasione. Di conseguenza, scrivere recensioni di album e fare interviste mi ha dato quella sensazione mai provata prima: il senso di appartenenza a una dimensione fatta su misura per me.

Per i concerti, però, la cosa si complica. Non fraintendere: ritengo i concerti tra le massime espressioni della bellezza della musica, della sua magia. Giorni fa ho letto un articolo su Noisey che, senza troppi giri di parole, afferma che i concerti sono situazioni in cui le persone fanno finta di divertirsi. Probabilmente può essere vero per chi va solo perché ci va l’amico o il cugino o per fare tendenza, ma per chi vive la musica anche dentro le sue viscere, vedere un artista cantare e suonare vuol dire essere trasportati in un altro universo. E succede anche a me, claustrofobica incompatibile con questa forma di spettacolo. Quelle poche volte che sono riuscita a godermi un concerto senza essere colpita da un attacco d’ansia violento, è stata un’esperienza sognante. Il problema, ahimè, è non sapere in anticipo se i miei disturbi d’ansia si paleseranno. Non dico che sia invalidante, ma poco ci manca.

Non posso negare che questa condizione mi abbia creato e mi stia creando ancora molti problemi: dalla necessità di stare vicina a una porta completamente da sola alla fuga anticipata, giustificata da una delle scuse più vecchie del mondoscusa, sai, ma con i mezzi è un casino”, non c’è una sola volta in cui sia riuscita a godermi per intero uno spettacolo senza avere un minimo principio di ansia, che si trattasse di uno show in un club a due/tre ore in uno stadio, seduta in tribuna stampa, nel parterre o nei posti piccionaia. Perché tutto ciò? A tratti penso di essere pazza, anomala, un ossimoro vivente. Come fai a spiegare all’amica o al fidanzato che non riesci a stare in mezzo alla bolgia perché soffri di attacchi d’ansia e lei/lui vuole vivere, giustamente, le esibizioni nel modo che ritiene migliore? Fortuna ha voluto che, durante gli ultimi concerti, sia stata accompagnata dal moroso, che è un po’ all’ABC della cultura musicale ed è una persona a cui non piacciono molto le situazioni eccessivamente chiassose. Al netto di tutto ciò, chiunque sia l’accompagnatore non è gratificante essere una guastafeste. Anzi, mi infastidisce star male ma non ci posso fare nulla. È come se fossi imprigionata in una gabbia che mi sono costruita da sola.

I disturbi d’ansia sono molto limitanti, qualsiasi sia la causa da cui scaturiscono. Ti bloccano, ti impediscono di ragionare lucidamente, ti fanno vergognare di te stesso, non ti fanno vivere normalmente e ti vietano di fare il tuo lavoro, se per esempio fai del giornalismo musicale e dovresti fare un live report. Non so se esistono per rimedi per combattere queste fobie del tutto strane, ma una cosa la so: l’impossibilità di assistere a un concerto dal vivo con serenità fa di me una persona con limiti molto grandi, ma almeno non una persona che disprezza la musica. Per quanto sia frustrante non riuscire ad andare a vedere le performance dei miei artisti preferiti, nel profondo del mio cuore so che ogni concerto è un’esperienza mistica e divertente allo stesso tempo. Perché la musica è gioia, è vita, qualsiasi sia la dimensione ideale di viverla per ognuno di noi. Ed è l’ancora che ci salverà, sempre e comunque. O, se non altro, salverà me.

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