Claudia Falzone e le Interviste: ma perché?

L’altra sera ero fuori con il mio fidanzato e abbiamo parlato di questo nuovo progetto del blog. Lui è stato il primo a credere in me, a spronarmi, a dirmi che questo luogo non è solo una raccolta di aneddoti della mia vita tra musica e parole ma potrebbe anche diventare un modo per scambiare esperienze con altre persone che, come me, hanno deciso di vivere di scrittura. E sì, ha dannatamente ragione (anche se glielo dico poche volte perché sono una testa dura, eheh). Ero nella piena enfasi del racconto quando lui mi chiede “Perché ti piace fare le interviste?”. Attimo di panico. Dio mio, è da quattro anni che incontro artisti per intervistarli, singolarmente o in conferenze, ma non mi ero mai fermata a chiedermi i motivi per cui mi piaccia farlo. Con quella domanda, invece, mi si è innescato un susseguirsi di pensieri che avrebbero potuto – potenzialmente - dare una risposta al quesito. O forse no?

Sarà perché sono curiosa? Naaa, le curiosità solitamente me le colmo trovando le soluzioni per conto mio. Allora è perché mi piace fare domande alla gente! No, assolutamente. Sono la tipica persona schiva e riservata che si irrita se qualcuno mi fa domande a raffica, quindi lo escludo a priori.

Forse è perché, tramite le interviste, riesco a scoprire alcuni dettagli sulla lavorazione di un disco che ha appena visto la luce? Fuochino, ma non ci siamo ancora.

Che cos’è, quindi, quella spinta che mi porta a dimenticare la vergogna quando sono a tu per tu con un cantante o un musicista? Semplice: un giornalista (o critico che dir si voglia) musicale è un musicista mancato. E io stessa ne sono la dimostrazione: l’unica costante nella mia vita è stata l’arte delle sette note e ho sempre saputo che, qualsiasi cosa avessi fatto da grande, avrebbe dovuto avere a che fare con Lei. La strada per diventare musicista è andata male, o forse non l’ho inseguita abbastanza, ma ho trovato comunque il modo di vivere e raccontare la musica.

Non è solo questo, però. Quando entro in contatto con gli artisti, quasi sempre mi capita una sensazione meravigliosa: per osmosi, riesco quasi a vivere i loro stimoli creativi sulla mia pelle, solo a sentirne parlare. E scopro, nella maggior parte dei casi, mondi molto affini ai miei, individui che riescono ad aprire una finestra sul loro lato più intimo e personale con i loro brani. Ed è sorprendente vedere quanto coloro che gli amanti della musica considerano delle divinità siano donne e uomini genuini, gente come noi comuni mortali. Faccio un nome su tutti: Slash. Prima di incontrarlo, alla fine dello scorso maggio, ero un po’ intimidita perché non sapevo come sarebbe andata, in fondo è una delle più grandi rock star viventi. Invece, il risultato è stato al di sopra di ogni mia aspettativa: un uomo simpatico, innamorato della sua musica e sorridente. I riscontri umani sono fra le esperienze più belle per chi fa il giornalista musicale. Non mi riferisco ai selfie, alle presentazioni stampa o altro, ma proprio l’interscambio personale. Come quando qualcuno ti dice che hai fatto una domanda intelligente e ti ringrazia oppure quando qualcun altro, a cui ti presenti nonostante l’abbia già intervistato l’anno prima, ti dice “mi ricordo di te, sei quella che mi ha fatto la domanda su Mauro Repetto” (fatto realmente accaduto con Max Pezzali).

Non è cosa da tutti riuscire a fare il lavoro dei propri sogni, io stessa ci sto ancora provando e assicuro che è una lotta quotidiana. Ma sono momenti come questi, o come le sessioni di pre ascolti di album in uscita in futuro, che mi ricordano ogni istante perché ho deciso di percorrere questa strada.

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