Avevo ripromesso a me stessa che su questi schermi avrei parlato solo di musica e parole, ovvero le cose che più mi interessano e mi fanno sentire viva. Ma quando, tra capo e collo, arriva una pandemia che sconvolge la vita del mondo intero, non ci si può nascondere e far finta di nulla.
Se, prima del 21 febbraio, qualcuno mi avesse chiesto quale fosse stato l’evento che mi aveva procurato più spavento, avrei risposto sicuramente il mio intervento di quasi 11 anni fa. Nonostante l’esito post-operatorio si fosse poi rivelato buono, prima dell’operazione i medici avevano utilizzato una brutta parola, che solitamente viene usata per indicare un agglomerato di cellule dalla natura sospetta e che richiede anche la rimozione di linfonodi sentinella ed esame istologico per scoprire la vera natura di tale massa. Insomma, avete capito.
Vuoi per la mia giovane età all’epoca - 27 anni appena compiuti - vuoi per il terrore e lo spavento che hanno provato, oltre alla sottoscritta, anche i miei genitori, pensavo di aver sperimentato il significato della vera paura. Invece non è del tutto vero.
Non sto sminuendo il dolore di quell’esperienza, che comunque mi ha segnata nel profondo, ma quando ci si ritrova a vivere fianco a fianco con un virus sconosciuto come il Covid-19, tutto inevitabilmente cambia. Le incomprensioni, le arrabbiature quotidiane, le paranoie sul cosa dire e cosa fare puff, svaniscono.
Non eravamo pronti per il Coronavirus e non avremmo mai potuto esserlo. Siamo stati inghiottiti da un mostro gigante che ha preso le piccole grandi certezze - o finte tali - di ognuno e le ha accartocciate come un foglio di brutta non più utilizzabile. Il vero problema, adesso, non è come sconfiggere la noia causata dallo stare sempre chiusi in casa, bensì fare i conti con un dramma di portata mondiale contro il quale non c’è ancora un rimedio. E se, questo pericolo, arriva a pochi passi da noi, colpendo direttamente i nostri cari, la sua presenza diventa più palpabile e minacciosa.
Nulla sarà mai come prima. Anche quando la tempesta passerà, ammesso e concesso che succeda, sarà impossibile tornare a vivere come facevamo fino alla prima metà di febbraio. In un certo senso potrebbe essere un cambiamento positivo, perché trovarsi faccia a faccia con una tragedia che accomuna tutti e non guarda in faccia nessuno spinge a dover fare i conti con paure e limiti che prima sembravano invalicabili. Per esempio, ho deciso che quando tutto questo finirà, prenderò l’aereo per la prima volta. Lo so, è assurdo che alla mia veneranda età non abbia ancora varcato le soglie di un aeroporto ma non voglio più permettere a nessuna paura di limitarmi.
Però è inutile negarlo: il mondo, dopo, non sarà più come lo ricordiamo. E anche il significato di paura è cambiato.
Per me, essere spaventata da qualcosa non vuol dire più il timore di non essere abbastanza brava o di essere sbagliata.
Adesso, la paura è la preoccupazione di dover convivere con un nemico invisibile contro il quale dovremo proteggerci senza avere, per il momento, uno scudo che ci protegga in modo totalmente efficace.
Ho paura di contrarre il virus, senza saperlo, e di contagiare chi vive con me.
Ho paura che le persone che amo si possano ammalare e, in alcuni casi, che possano morire. E tutto questo senza poter dire loro addio.
Ho paura che tutto questo potrebbe non finire mai.