A dieci mesi dalla fine dell’esperienza a X Factor, in cui si classificarono al secondo posto, gli Urban Strangers pubblicano l’album Detachment. L’album, in uscita per Sony il 14 ottobre, rappresenta una sorta di auto-analisi condotta grazie alla sperimentazione musicale, in un mondo dove elettronica, sonorità eteree e intimismo convivono alla perfezione. Sono gli stessi Urban Strangers, all’anagrafe Alessio Iodice e Gennario (Genn) Raia, a svelare i retroscena di Detachment.
Avete intitolato questo album Detachment, ovvero distacco. Da cosa nasce la necessità del distacco?
Inizialmente non avevamo un’idea ben precisa di come strutturare l’album, quindi la cosa più naturale ci è sembrata scrivere gli stati d’animo che stavamo provando in quel momento frenetico. Il titolo dell’album rappresenta il tema portante di tutti i pezzi, ossia il distacco vissuto come una presa di coscienza. Eravamo in uno stato psicologico un po’ scombussolato e abbiamo avuto il bisogno di fermarci un attimo e capire chi siamo, cosa stavamo facendo e il perché. In fondo, stavamo vivendo esperienze del tutto nuove: avere a che fare con una fan base, così come le responsabilità legate a tempi più ristretti di quelli che avevamo in precedenza, erano aspetti che ci facevano un po’ di paura. Man mano che siamo andati avanti con la scrittura, tuttavia, ci siamo accorti che c’era una ripresa e ci siamo fatti forza”.
Ascoltando il vostro disco, è chiaro che ci troviamo di fronte a un progetto sonoro del tutto diverso dai dischi pubblicati da concorrenti di un talent e anche dal panorama musicale. Avete ascoltato dischi che vi hanno colpito particolarmente? E come avete fatto a realizzare questo sound così internazionale?
Abbiamo cercato di esprimere i nostri stati d’animo con i testi e le sonorità che abbiamo cercato di raggiungere, concretizzando tutto ciò con l’aiuto di Raffaele Ferrante. È riuscito a realizzare e mettere in pratica quello che avevamo in testa grazie alla sua personalità e al suo essere artista, creando questo sound che nemmeno ci aspettavamo. L’unica cosa che abbiamo sempre avuto ben chiara è quella di non porci alcun limite a livello artistico né commerciale. Siamo ancora molto giovani, stiamo crescendo e potremmo fare cose del tutto diverse, chissà. Per quanto riguarda gli ascolti, ci ha colpiti molto l’ultimo album di James Blake ma in generale ascoltiamo moltissimi album diversi tra loro, sia insieme che singolarmente.
C’è una canzone dell’album che sentite particolarmente vostra in concomitanza con l’uscita del disco?
In realtà no, è proprio l’idea generale del concept che ci rappresenta perché tutte le canzoni esprimono i nostri stati d’animo. Un testo solo sarebbe insignificante senza gli altri perché quello descritto dai brani, non in ordine cronologico, è un vero e proprio percorso.
Il primo singolo, Bones, com’è nato?
Avevamo iniziato da poco con la scrittura dei pezzi per Detachment, quando un giorno Raffaele ci ha chiamati e ci ha detto ”Scrivete un pezzo per stasera!“. Allora ci siamo messi al lavoro, con sola chitarra e voci, per buttare giù un po’ idee. Lavorandoci sopra, il brano si è continuamente trasformato fino ad arrivare al risultato attuale.
I vostri testi sono pieni di domande e dubbi, rivelando una sorta di pessimismo cosmico. Da cosa derivano questi interrogativi? Dal momento che state vivendo o dal vostro modo di essere?
Siamo depressi! Scherzi a parte, sono riflessioni che hanno fatto sempre parte di noi, già dalle prime cose che abbiamo scritto, e entrambi abbiamo la tendenza a riflettere molto sulle cose, magari pensando anche le stesse cose. Tristezza e malinconia sono gli argomenti principali ma ciò non toglie che sappiamo anche essere felici.
Leggendo la tracklist salta subito all’occhio che, come ultima canzone, c’è una intro. A cosa è dovuta questa scelta singolare?
Lo sappiamo, siamo non-sense! E’ un brano totalmente in linea con gli altri ma è stato anche un espediente simpatico per ribadire che non vogliamo frenarci in alcun modo, nemmeno nel fare musica, e vogliamo farlo capire anche a chi ci ascolta.
Tornando al tema del distacco, c’è qualcosa di X Factor da cui volete fortemente staccarvi?
Per niente, al contrario X Factor ci ha formati parecchio, dal punto di vista umano e professionale, in quanto abbiamo imparato che per fare musica, a volte, avere dei paletti può aiutare non poco.
Non vi impaurisce tornare dopo essere stati un bel po’ nell’ombra e lontani da qualsiasi forma di esposizione mediatica? O sapere come reagiranno i fan davanti a questo album?
Abbiamo fatto un talent e sappiamo benissimo che è stata una vetrina, ma questo non vuole assolutamente significare che amiamo stare sotto ai riflettori. Sarà ovviamente diversa la risposta dei fan ma sappiamo che sarà la risposta reale perché coloro che compreranno il disco saranno coloro che saranno realmente interessati a farlo.
Avendo un album dalle sonorità quasi per nulla vicine al mondo italiano, avete mai pensato di spostare il vostro target e tentare la strada dell’Europa?
Il nostro sogno è quello di andare a suonare Londra quindi sì, ci abbiamo pensato e ci siamo dati 5/6 anni di tempo per poterlo fare. Occorre crescere artisticamente e maturare, dobbiamo migliorare per ingaggiare questa sfida con l’Europa e, perché no, con il mondo. Insomma, bisogna farsi le ossa per affrontare una sfida di questa portata.
Nonostante abbiate affermato, in un’intervista di diversi mesi fa, che prima o poi vi sareste cimentati con l’italiano, in questo album troviamo ancora tutte canzoni in inglese. Avete già fatto qualche tentativo in questa direzione?
Ovviamente ci pensiamo perché l’italiano è la nostra lingua madre ma vorremmo che fosse una cosa spontanea, come la naturalezza che abbiamo nel comporre in inglese. Quando ci accorgeremo di essere pronti, non avremo alcun problema a farlo.
Detachment racconta del vostro percorso dopo l’esperienza di X Factor, eppure avete inserito anche Warrior, che avete composto quando avevate 16 anni. A cosa è dovuta questa scelta?
Warrior era un brano che avevamo nel cassetto e rappresentava bene il periodo X Factor con tutto ciò che ne è conseguito. Poi ci siamo accorti che era anche coerente con il concept, quindi abbiamo deciso di riprenderlo e inserirlo nell’album. A dire il vero, c’è solo un pezzo che alla fine abbiamo escluso ed era l’unico che sembrava non filare molto col discorso generale, oltre che essere quello col testo più triste. Ma magari anche quello lo rispolvereremo più avanti, magari dandogli anche un arrangiamento vivace in totale contrapposizione col testo!
Infine, parliamo di tour: avete già qualche idea a riguardo?
Se ti riferisci alle date, ancora non le sappiamo. Per quanto riguarda invece la resa dei pezzi, Detachment è stato interamente suonato da noi, quindi è nostra premura far sì di poter rendere al meglio i nostri pezzi anche nel contesto live.